Quando, a inizio 2020, la pandemia di COVID-19 ha iniziato a diffondersi in Europa, lo scienziato Simon Weidert si è subito reso conto che per combattere il virus era necessario accelerare la ricerca in modo esponenziale, e farlo il più rapidamente possibile, ricorrendo all’intelligenza artificiale (AI). L’utilizzo di procedure computerizzate e strumenti di AI per migliorare la qualità dei trattamenti medici è sempre stato un obiettivo di Simon, che accomuna tanto la sua attività di ricerca scientifica presso l’Uniklinikum di Monaco di Baviera, quanto la missione dell’azienda M3i da lui fondata quattro anni fa.
È uno scopo che Simon persegue collaborando con i tecnici informatici di due università di Monaco che si occupavano già dello sviluppo di algoritmi in grado di rilevare in modo rapido e automatico alcuni segni patologici, e addirittura di fornire prognosi sulla progressione delle malattie. “Le tecnologie di intelligenza artificiale consentono di automatizzare e accelerare i processi in campo medico,” spiega Simon. “L’insieme dei dati provenienti da un singolo esame tomografico può essere costituito da diverse centinaia di immagini che il medico deve esaminare per identificare eventuali anomalie. L’intelligenza artificiale può eseguire l’analisi in pochi secondi. Inoltre, l’algoritmo può individuare schemi ricorrenti, o pattern, invisibili all’occhio umano.”
Connettere gli esperti in tutto il mondo
La diagnostica per immagini gioca un ruolo importante anche nella diagnosi e nel trattamento del COVID-19. L’imaging radiologico è infatti il modo più affidabile per determinare se e in che misura i polmoni siano stati colpiti dal virus. È dunque logico pensare di sviluppare algoritmi che, partendo dalle radiografie e dai risultati delle TAC dei malati, possano riconoscere quali segmenti polmonari siano stati colpiti, in che stadio della malattia si trovi il paziente e la criticità delle sue condizioni.
Sulla base di queste riflessioni, Simon ha avuto un’intuizione: sviluppare una piattaforma aperta per la collaborazione che fornisca ai professionisti e ai team IT di tutto il mondo una quantità di immagini più ampia ed eterogenea possibile. Lo scopo? Connettere le menti migliori per sviluppare modelli che aiutino i medici ad effettuare diagnosi rapide e a trattare in modo più mirato i pazienti affetti dal virus.
Il progetto avrebbe rappresentato un approccio estremamente innovativo nel campo della ricerca medica: “Esistono già numerose iniziative, condotte da gruppi di ricerca chiusi, che lavorano il più velocemente possibile per sviluppare algoritmi diagnostici affidabili per il COVID-19. Ma sono convinto che le iniziative individuali, con risorse umane limitate, non possano competere con i risultati dell’intelligenza collettiva, in grado di riunire team e geni della programmazione di tutto il mondo. In questo senso, l’idea alla base di M3i è unica,” spiega ancora lo scienziato. “Ho pensato che se fosse stato possibile raccogliere dati medici di alta qualità e renderli accessibili a tutti questi team, i risultati sarebbero poi stati a disposizione di tutti, e la ricerca globale avrebbe potuto compiere un enorme passo in avanti.”
Rendere possibile l’impossibile
Un aspetto irrisolto del progetto di Simon riguardava la protezione dei dati dei pazienti, che sono estremamente sensibili e non possono essere resi pubblici, e il cui utilizzo era però una condizione imprescindibile per poter mettere in pratica il progetto di M3i. Simon non aveva idea di come risolvere l’impasse, ed era sul punto di abbandonare il progetto quando il caso (o il destino?) gli ha fatto incrociare la traiettoria di Fausto Milletarì. “Un collega che lo conosceva mi ha detto: se esiste qualcuno che può aiutarti, quella persona è Fausto.”
Simon aveva già sentito parlare di Fausto, un ricercatore con un brillante percorso di studi e ricerca fra Italia, Germania e Stati Uniti, originario di Cefalù. “Era considerato un esperto di AI e machine learninig estremamente qualificato e incredibilmente innovativo,” racconta Simon. “Quando gli ho esposto la mia idea e le mie preoccupazioni in materia di privacy, ha risposto immediatamente: ho la soluzione. Confesso che, lì per lì, non gli ho creduto!” Ma Fausto è convinto: in realtà, lavorava già da tempo in quell’ambito. Nel suo tempo libero aveva realizzato un software in grado di fare proprio ciò che Simon riteneva impossibile: fornire i dati necessari per una collaborazione aperta, ma nel pieno rispetto della privacy, proteggendo i dati nel Cloud.
Per implementare il progetto di Simon, Fausto ha scelto di utilizzare Amazon Web Services (AWS). “Il risultato è stato immediato: grazie alla tecnologia, ai servizi e agli elevati standard di sicurezza di AWS, che sono conformi a criteri di controllo e di qualità rigorosissimi in materia di protezione dei dati, siamo stati in grado di creare la piattaforma esattamente come l’avevamo immaginata,” racconta Fausto. “Dopo aver creato il prototipo, abbiamo contattato personalmente il team AWS per richiedere assistenza per il nostro progetto.”
AWS aveva da poco lanciato un programma globale di finanziamento per i progetti diagnostici per il COVID-19. “L’idea di una piattaforma aperta alla collaborazione e il prototipo realizzato da Fausto ci hanno convinti a supportare il progetto con la capacità e l’infrastruttura di AWS,” racconta Halit Oener, portavoce del team AWS. Gli esperti di AWS hanno inoltre offerto a Fausto supporto tecnico e consulenza. Nel giro di due settimane, Fausto è riuscito a rendere possibile l’impossibile, e a realizzare la prima parte, fondamentale, del progetto di Simon, cioé creare la piattaforma di collaborazione.
La ricerca al servizio dei pazienti COVID-19
La sfida successiva ha riguardato il coinvolgimento di altri partner, in particolare convincere medici e cliniche in tutto il mondo a mettere a disposizione, in forma anonima, le immagini tomografiche e radiografiche e altre informazioni cliniche relative ai propri pazienti, come il decorso della malattia e la presenza di eventuali patologie collaterali – il tutto in conformità con gli standard legali ed etici garantiti dalla collaborazione con il Comitato Etico dell’Università Ludwig Maximilian di Monaco.
“Un grosso problema evidenziato dallo scoppio della pandemia è stato che, a fronte di un grande potenziale per la ricerca e lo sviluppo di soluzioni che sfruttassero l’intelligenza artificiale, mancavano i dati necessari per tradurre tutto questo in realtà,” spiega ancora Fausto. “Il progetto M3i è interessante proprio perché mette a disposizione i dati necessari alla ricerca in modo efficace, e in più promuove le risorse computazionali per permettere a ricercatori con diversi background di testare metodi di AI su questi dati e, in questo modo, fare innovazione.”
Marcus Treitl, primario del reparto di Radiologia e Neuroradiologia dell’Ospedale Ortopedico e Traumatologico di Murnau, sostiene l’iniziativa di ricerca di Simon e Fausto: “I dati esistenti sul COVID-19 offrono un potenziale enorme per lo sviluppo delle tecnologie di intelligenza artificiale. Sono ottimista al pensiero che un approccio di crowdsourcing possa fornire risultati in grado di risolvere problemi clinicamente rilevanti. In questo modo, il progetto sarà utile all’intera società e, in particolare, ai pazienti.”